martedì 26 marzo 2013

La noia profonda.

La noia è considerata uno stato d'animo temporaneo.


Una breve assenza di corrente elettrica.
Un ostacolo di rametti secchi al fluire delle cose.
Un orologio che si ferma, e perde sei secondi.

Heidegger parlava di due forme di noia: il "venire annoiati" (l'oggetto del mio interesse svanisce, e mi sento vuoto) e "l'annoiarsi di" (mi procuro da solo la noia, e non ho più voglia di fare nulla).

Forme quotidiane di noia.

Chi racconta i propri sogni (“Ho fatto un sogno stranissimo”, e ancora peggio: “L'altra notte ti ho sognata...”, noia e terrore).

La neve.

Un libro o un film di ambientazione bucolica.

Il purgatorio della domenica.

I segni zodiacali, e i loro cugini: gli ascendenti.




Chi non stona mai. Con un vestito, una frase, un uomo scombinato.


I viaggi in macchina, perché a leggere viene la nausea.


Chi si cambia il costume dopo il bagno.

La verdura e la frutta da mondare.

L'estetista che ti spalma una maschera d'argilla in faccia, e dice: Per venti minuti si rilassi.






I sette sacramenti. 

Gli uomini che bevono la birra piccola.


Il favoloso mondo di Amelie.

La piega dal parrucchiere.

Gli imperatori romani a partire dal III secolo. 

Le madri che insegnano a fare le madri.

Il giro per le vetrine.





L'uomo, animale incline alla noia, è paradossalmente solerte nel cercare ogni mezzo per combatterla, e far rifluire il tempo che sembrava essersi fermato.

Tale resistenza ha un che di ridicolo e insensato dal momento che secondo Heidegger è solo la noia profonda a rivelarci il senso dell'Essere.




È un black out metafisico
Salvifico, se ci si arrende al nulla.


È dal nulla che arriva un refolo fresco sulla pelle sudaticcia, come quando si crea corrente in una stanza afosa, e il mondo fa di nuovo capolino, una cosa per volta, 
il sorriso di chi entra nella stanza, 
la canzone di Battisti strimpellata dal dirimpettaio, 
lo scalpiccìo di bambini per strada. 

Il mondo ha bisogno di pennellate emotive per essere un luogo umano.
Di attesa, di lentezza, di noia.

venerdì 22 marzo 2013

Contro l'ascesi.

L'uomo è un "animale metafisico".

Così Schopenhauer descrive colui che ha la capacità d'interrogarsi sull'essenza della vita, e finisce per porsi le grandi domande intorno a essa (da dove arrivo? qual è il senso di questa vita? dove finirò?).
Grazie a questa capacità autoriflessiva, si coglie non solo come fenomeno ma anche come noumeno. Scopre, dunque, di essere in balia della volontà che lo sbatacchia di qua e di là, alla ricerca di una qualche soddisfazione. Non fa altro che desiderare e soffrire per questo desiderare inappagato.





Siamo un'accozzaglia di bisogni - mangiare alette di pollo impanate, fare l'amore, andare su Marte - il cui appagamento è solo apparente perché ne verranno di nuovi - mangiare un macaron cioccolato e curcuma, fare l'amore con un altro, tornare sulla terra -.

Il filosofo tedesco crede di sfuggire alla pena della volontà attraverso l'ascesi, esercizio di puro nulla che azzera qualunque desiderio.

Sicuro, Schopenhauer, che saremmo felici, allora?
Non rimpiangeremmo i desideri?

In sequenza: baciarsi contro un muro, fare l'amore su un pavimento e poi chiedere, morbida: Chi sei? 

Sorpassare la fila nel reparto gastronomia fingendo di aver perso il bigliettino con il numero. Incitare le urla dei figli se qualche vecchietta osa protestare.


Buttare nel cestino dell'immondizia il packet lunch della famiglia inglese che ti ospita. A trent'anni suonati, senza farti beccare dai tuoi studenti che sbocconcellano disgustosi panini al tonno e banana.



Complicare intenzionalmente una parola, una vacanza, un regalo, e lasciarlo, imputandogli tutte le colpe.


Osservarla in ogni sua azione, mentre disegna, mentre canta, mentre fa i tuffi dal bordo della piscina senza tapparsi il naso, e pensare che abbia un talento speciale in tutto quello che fa.

Avere voglia di andare a scuola, a giugno, quando le rondini garriscono, i ragazzini si sbaciucchiano più del solito, i libri si vendono, e in classe non si fa niente.



Domandarsi se lui è l'uomo della giornata, non della vita. Farlo tutti i giorni, appassionatamente.

Telefonare in ufficio, manifestare la propria malattia con voce rauca, affranta e perduta, e rimettersi a dormire.

Lavarsi i capelli con lo shampoo alle mandorle dolci di babyP, odorarsi bella come lei.




Avere lo splendore dei vent'anni ma la testa non bacata.


Cancellare quel nome dalla rubrica; non ricopiarlo su agende, foglietti, note criptate del telefonino.

Fare la prima, la seconda e la terza colazione come quando si è incinte.





L'ascesi non è per l'animale desiderante: siamo attaccati alla vita, a dispetto di ogni ragionevolezza.










martedì 19 marzo 2013

Odi et amo.

Secondo Empedocle alla radice del ciclo cosmico vi sono due forze divine, Amore e Odio, che uniscono e separano gli elementi primordiali. 




Non esiste una vita tutta d'amore,
unità indifferenziata di cose belle,
autosufficiente, e solitaria,
abbagliante.

Non esiste nemmeno una vita fatta di solo odio,
guerra permanente,
meschina, e solitaria,
informe.

La vita esiste quando c'è un rapporto dialettico tra Amore e Odio. 
La vita normale, insomma. 


Amo le vite degli altri. Amo quando mi fanno entrare, con cortesia, dalla porta e girovagare per le loro stanze dell'anima. Mi piace anche intrufolarmi dalla finestra.
Odio le porte chiuse.

Amo quando le mie amiche si avvicinano sornione: Come va?, e non vogliono sapere cosa non va ma come fare per fare andare meglio le cose.
Odio chi si preoccupa per me, e mi dice: Quanto sei dimagrita, Non hai ancora perso tutti i chili, eh? Non esci mai, Ma com'è che non sei mai a casa? I bambini fanno dimagrire, i bambini fanno ingrassare, ma è tutta colpa tua, devi pensare più/meno a te stessa.

Amo babyP, a modo mio.
Odio chi mi dice come devo amare babyP, a modo loro.






Amo fare qualcosa di eclatante, una volta e poi basta, una cena stellata, una storia illustrata per babyP, un abito scollato sulla schiena e tacchi alti, una corsa di otto chilometri, cucire un bottone alla camicia di mio marito.
Odio la costanza; ho solo bisogno di essere eccezionale un giorno all'anno.

Amo chiamare babyP per quella che è: un essere umano, piccolo e grazioso.
Odio gli epiteti: bambolina, patatina, signorina, principessina, batuffolina, e quell'espressione mortifera: Sembra dipinta.

Amo la campagna siciliana, perché è vicina al mare.
Odio dover stare al buio, la notte, nella campagna siciliana che brulica di insetti terrificanti, e non poter leggere prima di addormentarmi.




Amo la solitudine, soprattutto ora che è diventata merce rara.
Odio stare sola perché divento inconcludente. Inizio a chiamare (Dove siete? Cosa fate? Ma quando tornate?), leggo due pagine di un libro, scendo a buttare la pattumiera, faccio il refresh di Facebook, Twitter, Gmail sperando che qualcuno voglia comunicare con me, decido quale film guardare, mi perdo tra le recensioni dei critici, noto che sui rubinetti del bagno c'è il calcare, decido di impastare una pizza ma non ho la farina, invio messaggi demenziali alle mie amiche – senza parole, solo emoticon -, guardo l'ora (Ma come mai non sono ancora tornati?), sorseggio il té e poi lo lascio raffreddare senza finirlo, compilo un'ordinata lista della spesa che farò dopodomani, clicco qualche mi piace alle foto dei miei colleghi, di mia cugina e dell'amica del mare. E, finalmente, loro tornano. Proprio quando avevo trovato cosa mi sarebbe piaciuto fare.

Amo l'acqua gasata, la birra Moretti e la Coca Cola zero. Non è una questione di bollicine.
Odio lo champagne.

Amo la mia città.
Odio pensare che starò qui per sempre. Esco dal portone, e sogno di affacciarmi sul pontile di Alicudi, o farmi un giretto al Centre Pompidou.





Amo leggere con babyP: io leggo parole, lei immagina mondi che vanno al di là delle parole.
Odio la fiaba della buona notte, sempre la stessa, non devo sgarrare; lei non ammette variazioni: c'era una volta un pipistrello che dormiva a testa in giù, con le zampe all'insù, e sognava tutto al contrario.

Amo la piscina, acqua clorata che disinfetta i pensieri.
Odio le persone che s'infilano nella "mia" corsia. Quelli con la pancia prominente e le mani simili a palette che creano vortici, onde, spruzzi.

Amo le navigazioni notturne. Quelle dove io, verso mezzanotte, saluto tutti e m'infilo a prua. Mi sveglio il mattino seguente, e scopro dove il vento mi ha portato.
Odio dover essere di compagnia durante le navigazioni notturne. Mi lamento che il pozzetto è umido, vedo luci di transatlantici ovunque, mi lascio sfuggire i delfini perché mi ero appisolata. A un certo punto, vengo invitata a scendere in cabina.





Amo le mattine, assetate delle ore che verranno, quelle mani sulla faccia, mi aprono gli occhi, altre mani sulla faccia, buongiorno amore mio.
Odio amare le mattine perché mi fa sentire vecchia: un tempo amavo le notti.





Odi et amo, e non mi tormento.



venerdì 15 marzo 2013

La scommessa di Pascal.

L'argomento di Pascal sulla fede come scommessa è arcinoto.

Il filosofo francese invitava a scommettere sull'esistenza di Dio: se Dio esiste, godrò della beatitudine eterna, se Dio non esiste non avrò perso nulla (ho semplicemente vissuto, con la ragionevole speranza che ci fosse qualcosa dopo la morte).

Rohmer, La mia notte con Maud.


L'argomento della scommessa può essere applicato ad altri ambiti.

Il presupposto è la sproporzione infinita tra ciò che scommetto e ciò che potrei vincere. 
La posta in gioco dev'essere altissima, beatissima, difficilissima.
Altrimenti, meglio lasciar perdere l'azzardo.

Scommesse tipo e relative conseguenze: 
1) non abbiamo perso nulla; 
2) abbiamo guadagnato tutto.

Scommettere su un sms delirante ed alcoolico, tipico delle ore notturne.
1) Non ricevere risposta e, oltre al mal di testa, il mattino seguente curare il nostro delirio, e finire col riderne con le amiche. 
2) Vedere il cellulare lampeggiare, e sorridere, piene di grazia.




Scommettere con ostinazione su colui che non ci si capacita di non vedere più. Eppure tutto sembrava perfetto.
1) Rimanere sole, come già eravamo, se la perfezione non è di questo mondo.
2) Essere felici perché lui avrà compreso che la perfezione risiedeva nella nostra unione. Andare a vivere insieme, farsi assemblare la cucina dal montatore Ikea, abbracciarsi prima di dormire, e poi ognuno diligentemente nel suo lato di letto.


Scommettere su una fuga, quando tutto sembra perduto.
1) Tornare a casa irrisolte, ma leggermente abbronzate, e con l'illusione che aver pianto dentro la maschera mentre nuotavamo ci abbia liberato dal dolore.
2) Avere il coraggio di ripartire. O continuare a pensare il nulla, che è sempre meglio della disperazione.






Scommettere sulle lacrime, nel bel mezzo di una riunione, con tutti che ci osservano sbigottiti. 
1) Avere fatto sapere al mondo che stiamo male per davvero.
2) Sciogliere il dolore in goccioline che scorrono via.

Scommettere su una giornata uggiosa.
1) Coltivare il malumore, preparare un the caldo ed esercitare uno zapping insensato.
2) Guardare fuori dalla finestra, e vedere l'ultima nuvola scomparire.





Scommettere sul tempo che passa.
1) Vedere solo rughe e cicatrici.
2) Vedere solo rughe e cicatrici, e la vita che le ha tracciate.


Scommettere su babyP in una settimana senza il papà.
Lasciar perdere qualunque scommessa: babyP è una giocatrice d'azzardo, che ama rischiare e scompaginare programmi.
Gioca dietro le quinte del cuore, e vince sempre lei.






lunedì 11 marzo 2013

La bellezza degli accidenti.

La felicità per Aristotele inerisce alla parte sostanziale dell'uomo: l'essere razionale. È felice chi si dedica a questa funzione, il resto è ammesso solo come mezzo per arrivarci. La sostanza, però, è solo un significato dell'essere che si dice in molti modi.

Lo Stagirita distingueva tra essere per sé, riferito alla sostanza, fondamento, essenza necessaria e stabile (per esempio: io sono un essere umano) ed essere per accidente, ovvero possibile (può essere come non può essere), fortuito ed effimero, che quindi ha bisogno di poggiare sulla sostanza (io sono triste, pallido, scorbutico: per avere questi attributi ho però bisogno di poggiare sulla mia sostanza di essere umano). L'essere non è univoco ma i suoi significati trovano un'unità di fondo nella sostanza.

Margot Tenenbaum, a forza di coltivare la sua essenza
di drammaturga,  fumava troppo e soffriva di noia esistenziale.



Se la sostanza è autentica e coerente si può giocare con gli attributi, come si fa coi vestiti, altrimenti, se la sostanza è fittizia, tutto apparirà ridicolo, contraddittorio, grottesco.
Chi consacra la vita alla ricerca della propria essenza – limata, esibita – si perde per strada le possibilità dell'esistenza. Chi, invece, ha le idee chiare (Chi sei tu?, chiedo a babyP. Una bambina, mi risponde) può permettersi di confondere le acque, uscire dagli schemi, divertirsi con la bellezza degli accidenti.
Gli accidenti sono mutevoli, divertenti, leggeri, stelle che illuminano o buchi neri che inghiottono. Bisogna giocarseli.





Tagliarsi i capelli alla moda esistenzialista, un caschetto come Juliette Greco. Qualità

Ingrassare d'estate, quando la vita è bella, generosa. Quantità



Sentire la nostalgia di uno sconosciuto. Relazione

Tra la terra e il cielo. Dove


Guardiamo mille volte quella scena che ci fa ridere fino alle lacrime. Quando




Il mio hobby è: trascorrere un'intera giornata nel letto, sdraiata, seduta, saltello anche. Giacere

Provvedere alla riserva di benzina, di carta igienica e sì, magari anche un amore di scorta.Avere

Dare un bacio senza un motivo. Agire


Ricevere una risposta: non mi pensa più.Subire




Gli attributi vanno e vengono, mentre la sostanza – io, il soggetto – non smette mai di essere quello che è (continuo a essere umana anche quando lui non mi pensa più). Si può giocare, e perdere, con gli attributi, sbagliare gli ingredienti di una ricetta, i colori degli abiti, il tono delle parole. E poi riprovare: nulla è definitivo, compiuto.






La mattina mi alzo, con la testa gonfia di sonno. BabyP si acquatta sul divano, io brucio il caffè e mi infilo un maglione al contrario, i miei attributi tutti stonati.

- Sei bellissima, mamma, mi dice babyP.  














giovedì 7 marzo 2013

Della lentezza.

Kundera si domandava:
Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all'altro e dormono sotto le stelle? 

Siamo qua, Kundera: io e babyP.
Due viandanti della lentezza
due perdigiorno svaporate
due eroine del cliché caramelloso.

In questo momento non ho bisogno di nulla che già non ho.
Non ho bisogno di essere in nessun altro luogo che già non abito.

Non so quanto durerà, forse ancora sedici minuti-due giorni-una settimana intera, ma ora sono qua, nella densità dell'esistenza.




La lentezza non è inazione, bensì è "calma nell'azione" (Nietzsche): 
ogni movimento ha un senso, 
ogni parola è un incontro, 
ogni idea ha una direzione.

Io e babyP ci tuffiamo in piscina. 
Io non mi sento morire dalla vergogna quando mi tocca cantare "Il palloncino blu"; lei, forse, morirà dalla vergogna quando, da grande, vedrà che razza di foto pubblicava sua mamma. 

Costume contenitivo e ciabatte di tre numeri più piccole.
Ma un giorno sarà come lei:


Scattiamo delle foto idiote. Anche tanti autoscatti, per ricordarci quanto siamo state deliziosamente autoreferenziali, appiccicose, complici.




Non sbadigliamo.

Andiamo al bar a fare colazione. Io continuo a scattare foto idiote, e sgranocchio muffin alla zucca, mandorle e cannella ché le brioche ormai sono passate di moda.
BabyP legge avida il giornale, e cerca qualcuno con cui commentare le uscite dei grillini.




Camminano piano, in coda al resto del mondo. Fantastichiamo, come il passeggiatore solitario di Rousseau. 

Leggiamo, fino a tardi, con gli occhi che bruciano.





Non ci annoiamo.

Bolliamo broccoli di plastica attaccati col velcro.



Lasciamo correre, ascoltiamo, concediamo.

Non consumiamo la vita, come fosse un paio di stivali. 

Un passo dopo l'altro, "passando oltre tutti i mostri nella testa" (Monsters and Men), gironzoliamo semplicemente per la vita.


martedì 5 marzo 2013

La teoria del clinamen: l'evento inatteso.

Gli Epicurei credevano in un mondo materiale, formato da atomi corporei, e regolato da una necessità implacabile.
E poi proponevano un'etica fondata sulla libera scelta tra i piaceri. 
Per salvare quest'idea di libertà, Lucrezio introdusse la teoria del clinamen, ovvero della deviazione casuale degli atomi.



Gli atomi, in virtù del loro peso, cadono nel vuoto
in linea retta (necessità) ma è ammessa
la deviazione fortuita (libertà).


Il clinamen suggerisce un movimento gentile, e impercettibile, ma non lo è. 
La libertà non è mai dolce. 
Sottrarsi alla catena di causa-effetto è uno strappo, anfetaminico e violento.

Spesso, infatti, è più forte il bisogno di sicurezza che l'anelito alla libertà.
È per questo che crediamo in una sorta di principio di uniformità degli eventi (ieri è stato così, dunque oggi sarà così): abbiamo bisogno di pianificare, sapere in anticipo, dormire sonni sereni.

E ci dimentichiamo dell'inatteso.

Un esempio.

Causa
Il marito arriva sempre tardi dal lavoro, quando i bambini dormono già; il marito arriva, e si stravacca sul divano, con indosso dei pantaloni flosci, e si lobotomizza davanti alla TV. La moglie è piuttosto esaurita.

Evento
La moglie, un mattino, decide di litigare con il marito (non ci ha dormito tutta la notte, provando e riprovando le battute della strapazzata): non ne viene fuori nulla di particolarmente efficace né originale. Il marito sta zitto, la moglie non gli fa il caffè come estremo atto di insubordinazione.

Effetto
Il marito torna a casa, per una volta prima che i bambini dormano, e cerca le labbra della moglie prima del telecomando, ma lei ostenta ancora una qualche forma di resistenza. Imbandiscono una cena silenziosa, poi, mentre la moglie ha le mani immerse nell'acqua saponata, lui le sussurra "scusa", e si danno un bacio titubante. Non sono felici, ma si sentono sicuri.

Secondo la teoria del clinamen, potrebbe però accadere un evento inatteso:

Il marito chiama per dire che fa tardi: una cena di lavoro. Beve molto, perché non beve da tanto, e ha bisogno di oblio.




Si concentra su quel neo (o è una lentiggine?) sulla palpebra sinistra della collega carina. 
E, in quel momento, si emancipa dalla schiavitù di causa-effetto (sono marito, ergo mi comporto da persona dabbene) per scegliere quel neo, o quella lentiggine.



Poi, si troverà nuovamente avvolto nel vortice di causa-effetto, e farà un sacco di pasticci, mollando la moglie (causa) e ricevendo un addio dall'amante (effetto). 



Ma il marito rimarrà un essere con la possibilità di declinare il proprio destino, e partirà per un'avventura mozzafiato di quelle che possono essere intraprese solo dagli uomini disperati.


sabato 2 marzo 2013

La filosofia del sabato sera ovvero la filosofia ostica. #4. Il tempo come distensio animi.

Il tempo è ora.
Il tempo è quello del sabato sera.

Il tempo è distensio animi, diceva sant'Agostino. 
Il tempo oggettivo non esiste: esiste la percezione - parziale, individuale, ma autentica - che diamo alle cose, alle persone, alle situazioni.



Non esiste il sabato sera: è un artificio umano, nato per regolare il flusso dello sballo, dell'ozio, dei soldi.
Non esiste il lunedì mattina: è una costruzione umana per disciplinare il lavoro, l'ordine sociale, l'ignavia.

Non esiste rimpianto per il passato né aspettativa per il futuro. 
Tutto è presente, tuona S. Agostino.

Il passato non è: non esiste più.
Non fa più male quell'uomo che non ha più chiamato sebbene sembrasse affetto di logorrea, prima che lo baciassi.


Non fa più paura quella cantina dove delle bambine ti hanno chiusa dentro, e tu gridavi, e nessuno ascoltava.


Non fa più soffrire quell'amica che ti vomitava addosso i suoi drammi, e poi, quando hai detto che avevi il capogiro anche tu, è scappata a vomitare altrove.


Il futuro non è: non esiste ancora.
Non c'è più allarme per le rughe, perché s'invecchia tutto in un istante.

Non c'è più attesa per quel che saremo, ma non siamo.

Non c'è più notte insonne per quella decisione che prima o poi bisognerebbe prendere, ma non è il momento giusto. Ora. 

Tutto è ora,
da cogliere
da non rimuginare
da mettere in atto.

Tutto è ora: il vestito della taglia sbagliata, la lavatrice che rumoreggia, babyP che va dai nonni a spifferare che non ho scritto nulla di Proust, le scarpe col tacco che fanno già male.





Io esco, stasera.
Sto andando a un seminario notturno intitolato
"Verso una teoria naturalistica dell'autocoscienza".
Scherzo, sto andando a
imbucarmi a una festa.
The time is now.