domenica 26 gennaio 2014

È solo tepore, non è felicità.

Nelle grandi città del nord ci sono giornate invernali che si mascherano da primavera. 





Le persone escono volentieri di casa e camminano in fila sul lato soleggiato del marciapiede. Le persone si travestono da persone felici.

È solo tepore, non è felicità.

Il tepore è una cosa piccola. Una tazza di latte, un bacio lieve lieve, un termosifone all'alba. È un bisogno umano.

Le cose che insegno a babyP sono cose piccole e tiepide. Sono cose scontate e caramellose, ma intellegibili - lei le può afferrare -.
Un sorriso, 
la poesia, 
accettare, accettare, accettare, una pizza a forma di topolino con le olive come occhi, 
viaggiare, scappare, a volte tornare,
dormire otto ore a notte,
ascoltare,
guardare albe tramonti e universi paralleli,
l'attimo il presente l'istante,
un nido, chiedere scusa, chiedere ancora, chiedere ci sei.

Le cose piccole nascondono la cosa grande: la felicità.
La felicità è una cosa grande e incomprensibile. Mette paura. Allora la si mette da parte - non è mai il momento adatto per la felicità - e si mette a scaldare il cuore a non più di ventisette gradi. 

La felicità è rovente e superba. 

È la variazione imprevista al corso della vita. Una sperimentazione dell'istinto che non avrà seguito. È una sopraffazione del proprio io che desidera, balla, suda, morde, ama.


           
                                              Al minuto 2.53 la felicità arriva, rovente e superba.






La cosa grande che non insegno a babyP è un segreto, non si racconta a nessuno, tanto meno a una figlia.

Ci penserà poi lei a bruciarsi. 







venerdì 10 gennaio 2014

La felicità dei "porci".

Una mattina, prima di Natale, babyP mi ha fatto il ritratto
Mi ha detto stai ferma, e io stavo lì, immobile, con un'espressione studiata da madre affettuosa. BabyP mi fissava, tracciava qualcosa sul foglio - un occhio, una frangetta, un piede - e poi tornava a scrutare le linee del mio corpo
Mi ha dato il disegno, e ha atteso. 



Avevo il cuore in un piede, il collo che penzolava dalla pancia e la mano come una cresta di gallo sulla testa. 
Le ho detto che era un bel disegno, molto fantasioso; mi sono toccata la sommità della testa e mi sono sentita così infelice con quella ridicola cresta. 

Il medico e filosofo La Mettrie sosteneva, a metà del Settecento, che l'uomo fosse una macchina complessa e unitaria, soggetta alle leggi della natura. Anche l'anima, un termine vano, è un ingranaggio della macchina - il motore - dotato di muscoli per pensare come le gambe per camminare.
I nostri stati d'animo dipendono da come la macchina è montata: se ogni parte è al posto giusto e svolge correttamente la propria funzione, si è felici. Se, invece, ci si ritrova con il cuore in un piede, sangue e sentimenti non vengono messi in circolazione.
La felicità è un impulso: bisogna sentirla, col corpo. L'anima, accantonata ogni velleità intellettuale, deve essere corpo, vischioso e lascivo.


Bevi, mangia, dormi, russa, sogna; e se qualche volta pensi, fallo tra una bevuta e l'altra, e sia sempre un pensiero rivolto o al piacere del momento presente, o al desiderio riservato per l'ora seguente. [...] ti ci puoi voltolare dentro, come i porci, e sarai felice come loro.

Siamo partite per le vacanze, destinazione Sicilia. 
Ho iniziato a bere, mangiare, dormire, russare, sognare. Ho iniziato a sentire.

Con lo stomaco le cose che si mescolano, a ondate: la pasta con le sarde, tutte quelle pagine scritte e mai lette, la granita ai gelsi, le favole inventate alle tre del mattino, il pescestocco, i pianti con gli occhi secchi.

Con la spalla il respiro di babyP.




Con l'anima il mondo attorno a me, per staccarmi da quello che ho dentro. Mute di cani vagabondi, un pescatore che puliva il pesce schizzando per aria squame luccicanti, un sugo che per cuocerlo s'impiegano sei ore e bisogna stare lì, a curarlo. 

Con gli occhi i colori di un inverno che è giallo, blu e verde.



Con la lingua il ragù denso degli arancini.

Con il dito bagnato di saliva la direzione da seguire: lasciarsi portare dal vento e poi risalirlo; mollare e andare contro.




Questo è il ritratto che babyP mi ha fatto al ritorno dalle vacanze.