Il senso dell'estate è una cosa
difficilissima da trovare in quanto ingannevole. Si crede, infatti,
che abbia a che fare con l'essere divertiti, abbronzati, rilassati,
come se l'estate fosse un'alternativa a una vita tendenzialmente
monotona, pallida e isterica. Ma il senso dell'estate, lento e caldo,
affonda nel senso della vita: la vita scotta d'estate, e non si lascia
ingannare.
Ogni estate mi reco in un luogo
ben preciso, situato sulla costa nord orientale della Sicilia; torno
sempre qua infischiandomene del concetto di vacanze e del c'è un
mondo da visitare e del ma non sai quanto è figo il Laos.
Non cerco diversivi, non voglio
staccare da niente: desidero solo quell'immagine di me che è la mia
parte migliore, la più fortunata forse, quella che mi sembra di
essere e non interpretare. Quella che si succhia ancora le ciocche
piene di sale e che nuota senza paura in mare aperto e che la notte,
in barca, pesca totani e guarda le stelle dicendo Oooh, senza
vergogna.
La ritrovo qua, in questo luogo
situato sulla costa nord orientale della Sicilia, Tirreno meridionale
settore est, di fronte le Eolie alle spalle i Nebrodi, specialità
granita di gelsi con panna, tempo di attesa al reparto gastronomia
del supermercato: 40 minuti, distanza col vicino di ombrellone:
cinquecento metri, rumore del vicino di ombrellone con famiglia e
borsa frigo contenente maccaruna al forno e vino di casa con
gazzosa: 120 decibel, mare di brodo occhi di brodo scirocco di brodo,
birra Messina che non è di Messina, processioni e calia e
santi che ballano, signore sulla sediolina che parlano male delle
signore con la sediolina dall'altro lato della strada, bambini che
galleggiano con i braccioli il salvagente e il materassino di Spider
Man, uomini che tengono la sigaretta tra il pollice e l'indice.
Luna che Ohhh, delfini che
Ohhh, chiazze di bougainvillea che Ohhh.
Appena arrivo la signora che
vende le melanzane sott'olio mi compatisce:
- Signora, lei come fa a
Milano (ché Torino è Milano, indefinita città del nord) con la
neve e la nebbia tutto l'anno: ha gli occhi senza mare.
E con gli occhi senza mare
trascorro i primi giorni, stupita che si possa davvero vivere così,
col mare dentro gli occhi.
Vado in spiaggia, mangio, faccio
il sonnellino come i bambini, di tre ore senza sogni con una gran
voglia di pane e marmellata al risveglio. Mi metto sul terrazzo e
guardo gli ulivi e gli alberi di cedro e le viti, il mare un po' più
in là, immobile. Sto così un'ora, due ore, come quando in città
sto un'ora, due ore a fissare la home di Facebook o Twitter. Tra gli
ulivi e gli alberi di cedro e le viti non accade nulla, nessun
aggiornamento, solo il colore del sole che si schiaccia giallo
violento arancione tenue viola ambiguo.
Mangio di nuovo, ho sempre fame;
mi metto sul terrazzo, è tutta nera la campagna ma non dorme, c'è
un concertino di grilli la notte. Vado a letto. Al mattino presto
dormono tutti sotto le zanzariere bianche che si muovono leggere,
sembrano ballerini spossati, poi guardo fuori, quella strana luce
dell'alba (è l'inizio o la fine?).
Vado avanti così per un po' di
giorni, anima e corpo ancora intimiditi da una vita così gialla di
giorno e così nera di notte, poi quando sono pronte ci buttiamo di
testa a bomba di piedi.
Torno dalla signora delle
melanzane sott'olio, sembra sorridermi:
- Ora negli occhi ce l'ha un
po' di mare: va meglio, eh?