giovedì 17 dicembre 2015

Regali di Natale filosofici.

Il rasoio di Ockham
Ockham, sostenitore dell'empirismo, mise in atto un principio economico che riducesse tutte quelle nozioni metafisiche che non facevano altro che complicare la vita.
Il rasoio è uno strumento unisex che taglia in maniera definitiva menzogne e illusioni: zac a amore eterno, corpo perfetto, anima bella. Resta il mondo quale è, quello in carne e ossa, con gli amori che vanno e vengono, con le cosce a materasso e le anime perdute.
Il mondo quale è va preso quale è: non c'è nient'altro da chiedere.

Il tacchino induttivista
Russell raccontava la storia di un tacchino a cui veniva dato da mangiare sempre alle nove del mattino. L'animale concluse, tramite l'osservazione dei casi particolari, che “Tutti i giorni, alle ore nove, mi danno il cibo”. Finché la mattina della vigilia di Natale venne smentito.
Il tacchino, dunque, oltre che piatto di portata per la cena di Natale, è un valido argomento contro la pretesa induttivista di fornire regole universali partendo da casi particolari. Se, per esempio, tutte le madri hanno concluso che i propri figli sono geniali nel leggere all'incontrario, vibrare il violino come uno tzigano ungherese o fare la trottola sui pattini a rotelle fino a scomparire, non è detto che anche babyP si esibirà in un numero simile. BabyP sa solo ridere con le ciglia e baciare con i piedi.





Il cielo stellato sopra di me
Passata la moda della stella, è ora di regalare il cielo intero, con tutte le sue stelle e i suoi pianeti e, forse, gli extraterrestri.
Il cielo stellato, suscitando venerazione per la sua grandiosità, restituisce l'idea di un'umanità piccola e insignificante (da una parte noi, le nostre lampadine, le nostre idee; dall'altra le stelle); eppure siamo qua, ad ammirarlo.

Una bacinella
A volte l'anima si mette a fare un grande bucato di pensieri: si riempie d'acqua saponata, simile a una bacinella, e lava tutto a mano, perché i pensieri sono capi delicati. Il lavaggio è un'operazione lunga e ostinata: domande marcescenti, e risposte da stendere, trattamento a 90 gradi delle macchie, generose dosi di ammorbidente, sfregamenti di idea contro idea. E teorie sulla vita lasciate in ammollo.
L'anima vorrebbe esondare, gonfiare di felicità, ma non ci riesce; non può, i pensieri la trattengono dentro quell'acqua stagnante. Deve imparare a ristagnare. A rassegnarsi alla sua forma quando non sa essere null'altro che una bacinella di plastica.
Poi, a un certo punto, arriva la vita - con le ciabatte e lo scopettone, impaziente di sciogliere i pensieri - e getta in strada quell'acqua stagnante. Fluisce di nuovo.





Un giocattolo anti borghese
Barthes criticava i giocattoli moderni in quanto significano sempre qualcosa, qualcosa che rimanda al mondo degli adulti, a un destino segnato (sarai medico come il nonno, chef come quelli in TV, professoressa come la mamma). Il bambino si limita a utilizzare questo mondo già fatto: "gli si preparano gesti senza avventura, senza sorpresa né gioia". Via il set della dottoressa Peluche, gli utensili da piccolo chef stellato, il kit della professoressa con la matita rossa e blu. Il vestito di Frozen, no, dice babyP, perché non condizionerà affatto il suo futuro ruolo di principessa.






mercoledì 9 dicembre 2015

Stelline al pomodoro ed esercizi di meraviglia.

- Quando esce il mio libro?, mi chiede babyP.
Sono due anni e mezzo che babyP mi chiede quando esce il suo libro.

Tutto è iniziato in una giornata di primavera, mi ricordo la luce sul parquet e un avanzo di stelline al pomodoro di mia figlia che stavo piluccando davanti al computer.

Avevo questo blog da qualche mese, un blog che parlava di madri e figli senza offrire nessun consiglio, nessuna soluzione, neanche una mezza verità. Cosa me ne facevo? Avevo bisogno di pensare. Essere madre non è un concetto rigido: è una costruzione complessa, fluida. Inclassificabile, come lo è l'amato, quel figlio che corre di qua e di là, cozza contro le tue certezze, fa le capriole coi tuoi sentimenti. Io avevo bisogno di pensare a questo, a quella donna e a quel bambino, e alla loro storia discontinua, come tutte le storie d'amore, che procedeva per frammenti filosofici e salti emotivi.

Le stelline non mi piacevano, ma le mangiavo, appiccicose sul palato. Sullo schermo del pc gattini e notifiche e bambini, e poi un articolo e un'email. L'articolo parlava del mio blog, e la mail aveva per oggetto "Da Giulio Einaudi Editore". Ho sorriso, la luce sul parquet e sui muri e dentro la testa, le stelline buonissime. 
Ho risposto: Sì.






In questi due anni e mezzo babyP ha imparato a nuotare e ad andare in bicicletta senza rotelle. Un giorno ha scosso la testa, e i riccioli se ne sono andati via. Sa la versione inglese e quella italiana di Let it go. Ha i suoi amici, e li abbraccia forte con le mani a tenaglia. Frequenta il secondo anno di asilo: prima mi disegnava come una palla rotonda con delle appendici, ora magra, altissima e carica di gioielli. Legge di nascosto la sera, e legge ad alta voce le storie che le racconto io, con personaggi nuovi e finali rivisitati. Ha imparato a scrivere tutte le lettere dell'alfabeto, esclusa la H, muta poverina.


Io ho nuotato con lei nel mare brodoso della Sicilia, quest'estate abbiamo incontrato i delfini e a me è venuto da piangere. Ho tagliato i capelli da maschio, e mi sono pentita; li ho fatti ricrescere, e ora li vorrei corti. Continuo a parlare malissimo l'inglese ma a volte mi rivolgo a babyP in andaluso. Ho le mie amiche, che abbraccerei con le mani a tenaglia se trovassi il coraggio, e delle amiche nuove, bellissime, da quando ho aperto il blog. Sono diventata una professoressa di ruolo. Leggo la mattina in tram, nelle ore buche a scuola, e la sera, quando tutti dormono e io illumino la stanza con il kindle.
Ho scritto un libro, ed è stato difficile e lieve allo stesso tempo.




Tra me e babyP è rimasta la questione della meraviglia, quello sguardo pulito sulle cose che lei ha, e io no, ma che lei mi costringe a esercitare, anche se avevo dimenticato come si fa.



È un esercizio di meraviglia essere madri.
Il libro esce il 2 febbraio, si intitola Esercizi di meraviglia, ed è anche un po' il mio libro.

mercoledì 2 dicembre 2015

La filosofia di una donna con il pancione.

Da quando una donna indossa il pancione gode di un certo riconoscimento - estetico, sociale, escatologico - per il solo fatto di occupare una porzione maggiore di spazio.
Ne va fiera: lo esibisce in pubblico, rimane interdetta se qualcuno non si accorge di esso.
Lo dice a tutti che ha - finalmente - una pancia, persino alle compagne delle elementari ritrovate su Facebook. Le compagne rispondono: Che bello, che felicità. 
La pancia genera indulgenza.

Le amiche le scattano foto al pancione – di fronte, di tre quarti e di profilo -, il marito ci appoggia l'orecchio o la mano o la bocca con un certo misticismo, i medici lo schiacciano con le due mani insieme e annuiscono, donne sconosciute con le unghie dipinte lo intercettano come fosse un pallone quasi in rete e predicono il suo futuro (è un maschio/è turbolento, è una femmina/è complicata). Le hanno anche insegnato a respirare, e sbuffa insieme ad altre donne: ansima, non ha il ritmo giusto, e la rimproverano.
Lei si gratta il pancione, e la notte lo appoggia di traverso come una sacca gettata in un bagagliaio colmo.



Una donna incinta è la sua pancia, pura materia che occupa una superficie notevole.  Lei si sente così, gli altri la trattano così, una res extensa, incapace di pensare e determinata da leggi fisiche, come un orologio o un frullatore. E la res cogitans, dov'è finita?

Secondo Cartesio, il corpo può essere percepito solo dalla mente. Invece, quella donna sente il corpo con il corpo: attraverso gli attacchi di nausea o i primi movimenti di suo figlio, una falena intrappolata in una lampada. Quando si spoglia vede una riga, che sembra tracciata col carbone, dall'ombelico in giù.
Qualcosa di grandioso sta per accadere, e lei si sente esclusa. La sua mente è come quella falena: sbatte i pensieri e si brucia le ali.

Eppure Cartesio avvertiva: l'evidenza non viene dai sensi; quelli ingannano, e scambiano il riflesso di un remo immerso nel mare per un remo spezzato in due. Scambiano una pancia per un bambino. Scambiano una donna con la pancia per una madre.
Senza il pensiero non si riescono a mettere insieme i frammenti casuali della realtà: chiazze sulla pelle come quelle di una banana marcescente, bozzi che sembrano mani o minuteria del ferramenta o piedi che premono sulla pancia come per squarciarla, sogni di pelli sudate e guance arrossite.

È incinta, e si è dimenticata perché.
Perché ha paura, perché le viene da piangere e da ridere nello stesso momento, perché prova un tale struggimento per qualcuno che non c'è ancora, o che ha perduto.

Tra uno sbuffo e uno sbattere di ali, cerca quel punto di congiunzione tra mente e corpo, laggiù, in quel corpo dentro il suo corpo.