sabato 13 dicembre 2014

Le madri del mese di dicembre.

Giorgio Manganelli, "Il presepio"



Le madri del mese di dicembre sono le più infelici dell'anno. Contano i giorni e le ore, poi moltiplicano: venticinque giorni per ventiquattro ore. Il mese di dicembre è una lunga domenica di seicento ore.
Allora dici: gli interstizi d'infelicità vanno riempiti, il cuore deve pompare pace e amore e serenità, fino alle estreme periferie delle dita dei piedi.

Le madri del mese di dicembre partono in anticipo: sono donne organizzate, conciliano famiglia, lavoro, meches balayage shatush dal parrucchiere, e sul promemoria dell'iPhone scrivono per benino tutti i nomi e i rispettivi regali. È semplice come unire i puntini sulla Settimana Enigmistica: i regali sono lì, dall'anno precedente, da mescolare in maniera sapiente (la crema per le mani che ti aveva regalato la zia all'amica, "Il cardellino" di Donna Tartt solo sfogliato all'altra amica, la tazza kitsch con le corna della renna in porcellana chi te l'aveva regalata?).

Le madri del mese di dicembre smettono di correre, di nuotare, di spalmarsi la crema anticellulite; ogni sforzo sarebbe vano in questo mese di aperiauguri e cesti di Natale coi funghetti sott'olio e il cotechino precotto. Prendi la bottiglia dal cesto, un moscato dolce, e ne assapori il perlage: in bocca un pugno di puntine da disegno. Te ne versi un altro bicchiere, colmo, e sbocconcelli del panettone, privato delle uvette e dei canditi.




Le madri del mese di dicembre sono piene di aspettative, tutte deluse, frantumate. Ogni mattina rivolgono occhi di speranza al cielo di latta: il sole le rende irritabili. Attendono un fiocco di neve, che danza ramingo nell'aria, un solo fiocco a purificare il Natale: il Natale è bianco. Hai pagato lo stagionale, lezioni su lezioni individuali, sci e scarponi nuovi per i tuoi figli; guardi il cielo, un raggio di sole danza ramingo nell'aria, e ti viene da piangere: il tuo Natale è giallo.

Le madri del mese di dicembre spalancano la bocca e fanno: Oooh. Il Natale è ridondante, i bambini tendono al barocchismo. Le madri spalancano la bocca e fanno: Ooooh davanti a quei ceffi travestiti da Babbo Natale col vestito acrilico, Oooh davanti alle luci lisergiche della vetrina del macellaio, e ancora Ooooh, Che bella tazza con le corna di renna in porcellana. Oooh.
Le loro case diventano più Tiger che Ikea, la Danimarca invade la Svezia, lucine lisergiche anche dentro i salotti i bagni le cabine armadio, e poi renne ed elfi e cuori, cuori che pompano l'amore cosmico.




Le altre madri del mese di dicembre, sempre in competizione - a giugno era l'abbronzatura, a settembre l'inserimento più strepitoso, ora è il Natale, l'agone più duro -, allestiscono il presepio fatto come una volta col tappeto di muschio e il cielo di cotone; qualcuna ha consegnato la letterina brevi manu a Babbo Natale a Rovaniemi; sembrano pure dimagrite, sarà stata la raccolta del muschio o il Circolo Polare Artico o la rappresentazione della felicità.
Sono un po' nervose il giorno della recita di Natale, il figlio non è stato scelto per fare il protagonista, ma è Natale, bisogna amare il prossimo, anche quella bambina bionda al centro del palco. 

Entri, occupi la seconda fila con maglie giacconi capellini, la maestra è agitata le madri sono agitate; tu calma, interstizi vuoti o troppi pieni di chissà cos'altro. Buio, luce, bambini che recitano e cantano, uno imbalsamato, ma lei dov'è? Hai lo stomaco che si accartoccia: l'hanno dimenticata, forse esclusa. Buio, luce, arriva lei, stelline dorate nei capelli e occhi che cercano i tuoi. Sono qua!, vorresti alzarti e urlare, e invece i sui occhi continuano a vagare per la platea di nonne mamme e fratelli. Sono qua!, ti vede, le  sue stelline sorridono, le dita dei tuoi piedi - gli interstizi? - formicolano. 




venerdì 28 novembre 2014

Saper essere piccoli.

"Saper essere piccoli. Si deve essere ancora vicini ai fiori, all'erba, alle farfalle, come il bambino, che non li sovrasta di molto. Noi adulti siamo invece più alti e dobbiamo chinarci fino a loro; [...] Chi vuole aver parte ad ogni cosa buona, talvolta deve saper anche essere piccolo." (F. Nietzsche)

Saper essere piccoli: saper rannicchiare il corpo e stendere l'anima. L'anima, libera e distesa, si avvicina così a quel mondo dimenticato dove anche la felicità, seppur piccola, esisteva.
Un fiore, un cucciolo, una torta appena sfornata: l'anima dà uno sguardo distratto a queste cose piccole e graziose, s'impiastriccia con tutto quel miele, e ne conviene: il fiore è bellissimo - i petali fragilissimi -, il cucciolo tenerissimo e la torta squisitissima. 

I bambini, però, poco inclini alla contemplazione fine a se stessa, acciuffano quelle cose piccole e graziose e ne fanno qualcosa: fiori dipinti sulla parete della cucina, bellissimi come quelli veri, un cucciolo di scarafaggio adagiato sulla tavola imbandita (Mamma, dobbiamo salvarlo!), una torta di pasta di rossetto Chanel n. 102 "Palpitante" e dentifricio Colgate.
Qualunque tentativo di chinarsi vicino alle loro azioni - a come la loro anima mescola le cose trasformandole in vita - è inutile. 
Sono ridicola e malinconica quando mi faccio piccola. A volte, mi irrito anche.

Stamattina camminavamo verso l'asilo, babyP con un ombrello di stelline io con un cappello da parigina, e ancora sopra un cielo di latta. 
Ha cominciato lei: 
- Partirà la nave partirà.
- Dove arriverà, questo non si sa, - ho farfugliato piano piano.
- Sarà come l'arca di Noè, il cane, il gatto, io e te, - un cappello e un ombrello che cantavano insieme.






Il cielo di latta ha ripreso a tamburellare. Il mio corpo si è rannicchiato sotto il suo ombrello, l'anima distesa, quasi felice.







lunedì 10 novembre 2014

Alla ricerca di una notte perduta.

Non mi alzo più di notte, e quando mi alzo sono sbrigativa, efficiente: arrivo al letto di babyP con un bicchiere d'acqua in mano o un bacio sulle labbra. Ho sempre freddo, tra le stanze soffiano venti di bora, e mi copro con un maglione informe.

Questa notte mi sono alzata, Mi cola il naso!, e sono arrivata coi kleenex di Peppa Pig infilati nella manica del maglione. BabyP si è rimessa a dormire, e io ho iniziato a camminare per la casa. Mi sono sentita strana, accaldata: non soffiavano i venti; la casa protetta, il buio caldo.
Ho spalancato la finestra e il buio è entrato ancora più caldo, il ricordo di una notte antica. C'erano una donna con una sottoveste lunga, da principessa, e una neonata silenziosa con grandi occhi spalancati sulla notte. Se la posavi nella culla spalancava anche la bocca.
Mi sono seduta su quel divano che è stato il sudario dei nostri corpi ed era là, sparpagliata attorno, quella notte perduta. 



I momenti perduti arrivano così, da qualcosa di apparentemente esterno, una finestra spalancata, una madeleine inzuppata di tè. Arrivano da quella che il filosofo tedesco Benjamin chiamava Erfahrung ovvero l'insieme di dati accumulati nella memoria, spesso in maniera inconsapevole. È l'esperienza stratificata, il passato che dura nel presente; sono le cose autentiche, quelle che - lente, molli - sono cadute nella memoria senza che ce ne rendessimo conto. 
Perché sono finite laggiù? Perché l'intelletto è tutto preso da un altro tipo di esperienza, immediata, frammentata, choccante (l'Erlebnis): è l'esperienza della vita moderna, una sequenza di eventi-urto, inutili tentativi di sentirsi vivi. L'intelletto incasella e butta via - sono eventi di puro presente -; le cose preziose scivolano oltre l'intelletto, antiche e perdute, ma piene di vita
Benjamin cita lo sforzo di Proust di ritrovare quel tempo perduto: l'intelletto si mostra incapace di verità, fornisce dei dati estranei, è solo la memoria involontaria che può casualmente restituire i colori della verità.
Ricercare qualcosa di perduto significa lasciarlo emergere, per come è, senza alcuna volontà di possesso o comprensione: laggiù c'erano l'amore e l'odore di latte e la solitudine nera di una ninna nanna sussurrata alle tre del mattino. 

Il passato è un legame affettivo, un abbraccio caldo come il buio tra due esseri umani che impararono ad amarsi con la pelle e con gli occhi in una notte perduta.



giovedì 16 ottobre 2014

Lasciateci divertire.

Ahahahah,
faccine sorridenti!
[è emozionata, amata, entusiasta!]






La bambina si diverte,
va all'asilo a tirare da sola lo sciacquone del water e a parlare delle emozioni,
ne ha parlato col suo amico col ciuccio, e gli ha detto:
Sono triste quando tu non ci sei.


La madre si diverte,
va a lavorare con la testa da quindicenne, gonfia di sonno,
e il giubbottino di pelle e le All Star slacciate.
Non la disturbate mentre dorme o sogna o finge di pensare,
le fantasticherie sono il suo diletto.

Ciuciuccio ciuciuccio,
prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr,
onticotico ontologicologico,
logica vs?


Tutte e due scrivono letterine,
una col pennarello, l'altra ticchetta sui tasti,
poi si danno il cambio:
la bambina scrive xjkldidqwi
e la madre maiuscole abnormi (ma la norma qual è?).
Licenze filosofiche e strofe lunatiche, vanno avanti così quelle due sgangherate:
mentre una scriveva cose piccole come pulci, piegate e ripiegate su se stesse - le puoi quasi schiacciare -,
sciack!
l'altra imparava a scrivere la L e la H: muta, poverina.







La bambina parla di cose che non conosce,
la metafisica, l'ontoteologia, l'empiriocriticismo:
fa la filosofia delle accademie.
La madre non parla più,
ride molto, si spennella smalto rosso e ammicca di qua e di là; è felice forse:
fa la filosofia nazionalpopolare.


Plaplatotonene
Lockecke
Marcusesese
Buh!


I tempi sono cambiati,
non ci sono più le mezze stagioni
- è ottobre, senza calze, vestitini leggeri, pelle che respira, si strofina, elettrica -,
gli uomini non domandano più nulla
dalle filosofe:
e lasciateci divertire!










giovedì 12 giugno 2014

Meteofilosofia.

Ogni anno, verso la metà di giugno, in questa città del nord, incuneata tra le montagne e la pianura padana, arriva l'ondata di caldo tipica del clima continentale. La popolazione, incline allo stupore, non si dà pace per questo fenomeno - ciclico - di caldo appiccicoso, così si mette a sbuffare, sudare e rimpiangere il mese di novembre.

Esiste una spiegazione filosofica per tutto, anche per il meteo.

Telesio, filosofo del del XVI secolo, fu tra i primi ad affermare l'autonomia del mondo naturale: esso, infatti, va indagato secondo i principi che gli sono propri, escludendo ragioni di tipo metafisico o divino. La natura è dunque l'interazione di due principi agenti, il caldo e il freddo, su una massa corporea. Il caldo, che ha sede nel sole, tende a dilatare le cose, invece il freddo, originato dalla terra, le condensa. 

Il calore del sole, dunque, penetra nei corpi e causa la loro dilatazione, lembi di pelle che si espandono a dismisura.
I più colpiti dall'effetto del caldo non sono gli anziani e i bambini come dice il tiggì, ma le madri. La loro pelle aumenta, di superficie, di volume e di audacia. Sfilano indumenti e infilano canottiere, gonnelline leggere a pois, shorts, magliette di pizzo macramé; vorrebbero giocare come le ragazzine a versarsi tra loro bottigliette d'acqua in testa. 



Il caldo, secondo Telesio, agisce anche sull'anima. La dilatazione dell'anima ha maggiori controindicazioni di quella del corpo: il caldo, infatti, gonfia l'anima come un palloncino.

Le madri si mettono sul balcone, la sera. I figli dormono, i mariti guardano la TV, la lavastoviglie gorgoglia. Ci sono le rondini che si rincorrono nel cielo e l'odore di spazzatura che si arrampica dalla strada.
Fa caldo, loro indossano una sottoveste e si guardano quel corpo smisurato, quelle braccia come tende flaccide. 
Arriva un refolo d'aria - caldo, caldissimo -, è quello che desideravano: l'anima è libera di svolazzare, leggera, di qua e di là.




martedì 20 maggio 2014

La vita non è un grande romanzo.

Molti vivono la loro esistenza come fosse un grande romanzo. Hanno progettato una struttura narrativa tradizionale (inizio-conflitto-risoluzione del conflitto) e si ostinano a seguire un canovaccio rigido e muto. 
A volte si tratta di una storia sciagurata, altre volte di una storia perbenino; il lieto fine è sempre contemplato.

Quando si sceglie una storia da interpretare, la vita perde i pezzi
Hannah Arendt, in un saggio su Karen Blixen, affermava che ogni vita è una storia ma non ogni storia può diventare una vita. È pericoloso imporre una trama: "non si può rendere la vita poetica, viverla come se fosse un'opera d'arte".




La vita non è un grande romanzo, è forse più simile a una raccolta di racconti, aperti e imperfettiNessuna verità luminosa. Non esiste una morale. Non ci sono risposte.
Rimane per lo più appiccicato qualche particolare.
Stivali su gambe nude, su un corpo nudo. 
Un cuore plumbeo.
Baci al gusto di Brooklyn.
Un ciuccio di caucciù nel water. 
Ginocchia che si sfregano, elettriche.
Tra un racconto e l'altro c'è un salto, un silenzio dubbioso, fili che non conducono da nessuna parte. Non c'è nessun bacio finale, solo molti baci sparigliati, clandestini. Ci sei tu, col tuo modo segreto di illuminare e adombrare la vita.


Karen Blixen riporta ne La mia Africa un racconto che ascoltava da bambina: c'era un uomo che viveva vicino a uno stagno. Nella notte venne svegliato da un rumore e scese per capire cosa era successo. Al buio non faceva che cadere nel fango e vagare senza meta finché trovò la causa del rumore: una falla nello stagno. Riparata la falla, se ne tornò a dormire. Il mattino dopo si affacciò alla finestra e vide che i suoi passi malsicuri avevano creato il disegno di una cicogna. La scrittrice si domanda: "Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna?".



Bisogna avere pazienza, e aspettare che compaia un disegno dalle tracce disordinate e imprevedibili. Una storia non si avvera: emerge, inaspettata.

La vita va vissuta, un andirivieni di cadute baci voli da cicogna, per poter essere un disegno.


Chissà cosa ci vedrò, forse degli stivali neri o un ciuccio in fondo a un water. 







mercoledì 30 aprile 2014

Frammenti di un sentimento materno.

Il sentimento materno è un comune sentimento - ciò che viene percepito dai sensi - che si propaga agli organi interni: il cuore, lo stomaco, il fegato. 

Stilnovismo.
BabyP è la bambina più bella del mondo, copula tra la terra e il cielo. Ha capelli che odorano di miele e occhi che splendono come la stella del mattino. Tra le scapole due piccole ali.




Asfissia.
Mi manca l'aria, la respira tutta lei.

Follia.
Saliamo in macchina, furtive. Ascoltiamo La bella tartaruga per un'ora e mezza mentre l'autostrada fila via; metto la mano fuori dal finestrino a fare resistenza contro l'aria. Arriviamo, corriamo. Siamo sulla punta del molo, è come stare in mezzo al mare. Lo guardiamo, il mare, è come stare in mezzo alla felicità. Risaliamo in macchina, la musica, l'autostrada. Metto la mano fuori dal finestrino: vola sopra il mare.





Proprietà privata.
- Cosa vuoi fare da grande?
- La ballerina.
- Nooo.
- Il muratore.
- Nooo.
- La fatina.
- Nooo.
- Come mamma.
- Sììì!


Desiderio.
La filosofia è desiderio di ciò che ci manca: c'è un'assenza nella presenza, c'è qualcosa che sfugge sempre perché resiste al possesso.
I segreti che sussurra nelle orecchie lunghe di Titti il coniglietto.
La sua risata da cartone animato, immotivata strampalata senza fondamento.
I baci che dà, che non dà, Sei bruttissima, Sei bellissima, Ma perché sei la mia mamma?





Solitudine.
Sono incapace di starmene nella stanza da sola, con babyP. Ci sono troppe domande, troppi desideri, troppi baci che dà e non dà, troppi baci che mi immagino.
È una solitudine che si gonfia nella stanza, in gola, nell'anima. A volte, esplode come un palloncino.

Io-ti-voglio-bene.
Barthes diceva che l'io-ti-amo è un'azione. Dico io-ti-amo perché l'altro risponda io-ti-amo in forma completa, affermativa, senza divagare.
- Io-ti-voglio-bene.
- Io-vojo-bene-a-me.


giovedì 3 aprile 2014

Mutande e pensierini bellissimi.

"Io no riescio a mettere le mutande. Come riescio a fare io bene?"
BabyP è tutta presa dalle virtù, quelle grandi e quelle piccole, come l'infilare le mutande con nonchalance

Nel mondo greco la virtù era un'eccellenza nel fare qualcosa, dapprima sotto forma di dono divino riservato agli eroi e poi, a partire da Socrate, a disposizione di tutti gli uomini in cambio di fatica e conoscenza.
I filosofi greci tendevano a identificare la virtù con la ragione: si riesce a fare bene, anzi benissimo, quando si esercita la ragione, in maniera attiva e autonoma. Per eccellere la ragione ha bisogno di tenere a bada le passioni, di indurle in coma farmacologico, in particolare quelle che non servono a nulla: l'ansia, per esempio.

BabyP è così presa dal gareggiare con le sue mutande che passa il tempo a sfilarle e provare a rinfilarle. Parla solo di mutande: un'ermeneutica delle mutande.
Stamattina è arrivata con due mutande sui polsi - dei grandi braccialetti a pois -, un paio per gamba e un ultimo paio con le farfalle calcato sulla testa, vezzoso.
Le mutande sono il suo peso dell'esistenza, quei chili in più che zavorrano l'anima. 





Io, in prima elementare, volevo scrivere dei pensierini bellissimi, i pensierini più belli di tutte le prime elementari del mondo. Coltivavo una notevole ansia nei confronti delle parole che possedevo - erano così poche, misere, infantili - e mi misi in testa d'imparare a memoria tutti i lemmi del dizionario per stupire la maestra con paroloni illuminati. Ne memorizzai alcuni e li fissai a casaccio sul foglio con la doppia riga: esecrare, brumoso, miasmi.

L'ansia, che i filosofi chiamavano angoscia - un termine più chic, più esistenziale - è la cartina da tornasole dell'essere umani, finiti, imperfetti, con le capacità monche. È una passione tenera, che la ragione guarda con compassione: vogliamo solo essere esseri con le mutande infilate bene e pensieri bellissimi, tutto qua.



mercoledì 26 marzo 2014

Cosa c'è in fondo ai miei occhi?

Aristotele descriveva la conoscenza come un unico processo che dai sensi va all'intelletto (non vi è nulla nell'intelletto che prima non sia stato percepito dai sensi), dal singolare all'universale.
La sensazione è un'alterazione, positiva.
Tra i cinque sensi la vista è privilegiata: evidente, affidabile, cattura immagini e le spedisce a quella grande sala che è la memoria.

Gli occhi dei bambini, esseri lievemente sproporzionati, sono più grandi del normale: non vedono più cose, le vedono meglio, le girano e rigirano per osservarne ogni lato - dietro, sotto, di sghimbescio -.

Io e baby B avviciniamo i visi, fino a che la punta del mio naso tocca la sua. Spalanchiamo gli occhi, da civette, e iniziamo a giocare.





- Cosa c'è in fondo ai miei occhi? -, chiede lei.

- I battiti del cuore degli adulti, aritmici, come lucine del luna park, una accesa una spenta, una accesa una spenta,
principesse con smalti metafisici,
nuvole che non corrono, che non si sfilacciano; che non vanno da nessuna parte,
adulti indaffarati: devono preparare pranzi, emettere fatture, twittare aforismi di Oscar Wilde,
anamnesi di una vita nell'acqua,
i leggings lisergici delle tue amiche,
le mie sopracciglia - corrucciate, euforiche, malinconiche, scollate, uggiose -
le lettere dei libri dei grandi, in particolare la K (molto rara), che evaporano nei tuoi sogni la notte,
gelati pallidi, biologici
e la maglietta col leone che ruggisce -, rispondo io.

Tocca a me:

- Cosa c'è in fondo ai miei occhi? -.
- Ci sono io, in fondo ai tuoi occhi. -, risponde lei.




domenica 16 marzo 2014

ἔνδοξα [opinioni autorevoli]



MAGAZINE

Venerdì di Repubblica.
"La filosofia di una mamma e di sua figlia"
(Marco Filoni, 29/03/2013)

Style/VanityFair
"I blog da seguire: parola di blogger."
(Rossella Boriosi, 14/02/2014)

Extratorino.
"La rete delle mamme"
(Francesca Fimiani, marzo-aprile 2014)

Torino - Repubblica.it - Pink Turin
"Nel blog di Vittoria la mamma è una filosofa."
(Federica Rocca, 7/04/2014)

VanityFair.it
La filosofia della prof precaria.
(Monica Coviello, 27/11/2014)

RADIO

Intervista per Radio San Marino.
"La filosofia secondo babyP)
(Emanuela Rossi, 4/02/2014)
Qui l'intervista.

WEB

Intervista su Rai Edu/Rai Filosofia.
"Web stories. La filosofia secondo babyP."
(3/02/2014)

Intervista su Genitori crescono
La filosofia secondo babyP
(Chiara Bogo, 17/04/2014)









mercoledì 12 marzo 2014

Portami con te!

- Portami con te!, - miagola BabyP quando vado a lavorare o dal parrucchiere o a comprare confezioni in offerta di soluzione fisiologica.

BabyP non va a lavorare né dal parrucchiere né a comprare la soluzione fisiologica in offerta.
BabyP va a zonzo per l'Iperuranio.
- Portami con te!, - la imploro. 

Platone raccontava che la nostra anima è simile a un carro alato, tirato da due cavalli e guidato da un cocchiere. Un cavallo è bello e buono e tende a salire, l'altro è brutto e cattivo e trascina l'anima sulla terra. Il cocchiere fatica molto a mantenere l'andatura di quei due cavalli imbizzarriti, uno per le cose del cielo, l'altro per le cose della terra. Più l'auriga è esperta e tenace più facile sarà tenere a bada il ronzino scontroso, e condurlo verso il mondo delle Idee.




L'anima di babyP, come quella di tutti i mortali, è composta da tre parti: un cocchiere (la ragione), un purosangue sempre arrabbiato (la parte irascibile) e un cavallo senza pedigree, in preda alle passioni (la parte concupiscibile).
Senza alcun apparente sforzo la sua anima vola verso l'alto, come se fosse fatta d'elio: il cocchiere sussurra paroline magiche ai cavalli, e quelli, disciplinati, trottano in direzione dell'Iperuranio, la bella copia del mondo di quaggiù.

BabyP sta sopra il cielo, dove il lavoro è pagato e gratificante, dove chiedi al parrucchiere il taglio di Alexa Chung e ti ritrovi uguale a lei - i capelli, gli zigomi alti, le serate nei club londinesi -, dove la soluzione fisiologica libera il cuore congestionato.




A volte, babyP mi prende la mano e prova a portarmi lassù, ma i miei cavalli sono recalcitranti, pigri, con gli zoccoli ancorati al cemento. Mi sorride, compassionevole, e mi dice: - Portami con te!
Andiamo insieme per le strade di cemento; lei sembra volare anche lì.

lunedì 24 febbraio 2014

Il bucato dell'anima.

A volte l'anima si mette a fare un grande bucato di pensieri
Si riempie d'acqua saponata, simile a una bacinella, e lava tutto a mano, perché i pensieri sono capi delicati.



Domande marcescenti, e risposte da stendere. Rilavaggi continui dei pensieri, quelli più ostinati trattati a 90 gradi. Visioni piene di macchie. Risciacqui vigorosi. Generose dosi di ammorbidente. Sfregamenti di idea contro idea. Teorie sulla vita lasciate in ammollo. 




L'anima trascorre giorni e giorni a lavare i pensieri. Si sente sola, e stanca, coi pensieri sempre sporchi
A volte intravede il mondo riflesso sulla superficie dell'acqua, ma è un'idea lontana, liquida. Là fuori, in quel mondo, nuotano tutti, quello a farfalla, babyP coi braccioli, quell'altro ancora a dorso con gli occhi spalancati al cielo. Si divertono, spruzzano acqua dal cuore, e fluiscono dentro la vita.

L'anima vorrebbe esondare, gonfiare di felicità, ma non ci riesce; non può, i pensieri la trattengono dentro quell'acqua stagnante.
Deve imparare a ristagnare. A rassegnarsi alla sua forma quando non sa essere null'altro che una bacinella di plastica.



Poi, a un certo punto, arriva la vita - con le ciabatte e lo scopettone, impaziente di sciogliere i pensieri - e getta in strada quell'acqua stagnante. 

Fluisce di nuovo. 







giovedì 13 febbraio 2014

L'amore è una visione.

L'amore procede per visione.
L'amore, spiegava Platone, è un flusso - un desiderio di bellezza - che colpisce gli occhi e, attraverso questi, può arrivare all'anima.

L'amore per babyP è nato dalla contemplazione di uno zainetto a forma di tartaruga.
E poi?
Non vede occhi pieni di malia
o una stanza piena di giocattoli
o un futuro opaco.
BabyP non vede i particolari di quell'amore. 


BabyP e il bambino con lo zainetto a forma di tartaruga s'incontrano, ai giardini o all'asilo o per strada, tra una Panda parcheggiata e un cassonetto della spazzatura. La scenografia è superflua - un tavolo a lume di candela o Parigi o un tramonto davanti al mare -, loro non stanno recitando.




Non si abituano

Si annusano e si leccano la faccia.
Non provano vergogna; sanno di orsetto gommoso e pizza coi würstel. 

Non pensano al ciclo dell'amore che, come una lampadina, si accende, spande luce e poi si fulmina. Non sanno che dentro la luce esiste la possibilità del buio.
I loro occhi sono sempre luccicanti.





Si esprimono così: voglio giocare con te all'indiano, vieni a mangiare il biscotto con me, andiamo via. Affermano, non prendono tempo - non usano mai l'avverbio "domani"-. 
Sono parole che non fanno male, e neppure bene: sono parole che portano da qualche parte. Accanto.

Non si mostrano migliori di quello che sono; non si esibiscono
Lui le chiede chi sei, e lei risponde sono io. Non ha un cognome né un indirizzo né una professione. 

Uno sull'altalena, l'altra sullo scivolo, uno disegna il mare, l'altra scarabocchia leoni, uno fa la pipì dietro un albero, l'altra si soffia il naso. 
Sono fiduciosi; non si controllano. Hanno in mano una libertà felice.




L'amore per babyP è uno zainetto a forma di tartaruga, così leggero da poter essere messo in spalla anche all'anima.



domenica 26 gennaio 2014

È solo tepore, non è felicità.

Nelle grandi città del nord ci sono giornate invernali che si mascherano da primavera. 





Le persone escono volentieri di casa e camminano in fila sul lato soleggiato del marciapiede. Le persone si travestono da persone felici.

È solo tepore, non è felicità.

Il tepore è una cosa piccola. Una tazza di latte, un bacio lieve lieve, un termosifone all'alba. È un bisogno umano.

Le cose che insegno a babyP sono cose piccole e tiepide. Sono cose scontate e caramellose, ma intellegibili - lei le può afferrare -.
Un sorriso, 
la poesia, 
accettare, accettare, accettare, una pizza a forma di topolino con le olive come occhi, 
viaggiare, scappare, a volte tornare,
dormire otto ore a notte,
ascoltare,
guardare albe tramonti e universi paralleli,
l'attimo il presente l'istante,
un nido, chiedere scusa, chiedere ancora, chiedere ci sei.

Le cose piccole nascondono la cosa grande: la felicità.
La felicità è una cosa grande e incomprensibile. Mette paura. Allora la si mette da parte - non è mai il momento adatto per la felicità - e si mette a scaldare il cuore a non più di ventisette gradi. 

La felicità è rovente e superba. 

È la variazione imprevista al corso della vita. Una sperimentazione dell'istinto che non avrà seguito. È una sopraffazione del proprio io che desidera, balla, suda, morde, ama.


           
                                              Al minuto 2.53 la felicità arriva, rovente e superba.






La cosa grande che non insegno a babyP è un segreto, non si racconta a nessuno, tanto meno a una figlia.

Ci penserà poi lei a bruciarsi. 







venerdì 10 gennaio 2014

La felicità dei "porci".

Una mattina, prima di Natale, babyP mi ha fatto il ritratto
Mi ha detto stai ferma, e io stavo lì, immobile, con un'espressione studiata da madre affettuosa. BabyP mi fissava, tracciava qualcosa sul foglio - un occhio, una frangetta, un piede - e poi tornava a scrutare le linee del mio corpo
Mi ha dato il disegno, e ha atteso. 



Avevo il cuore in un piede, il collo che penzolava dalla pancia e la mano come una cresta di gallo sulla testa. 
Le ho detto che era un bel disegno, molto fantasioso; mi sono toccata la sommità della testa e mi sono sentita così infelice con quella ridicola cresta. 

Il medico e filosofo La Mettrie sosteneva, a metà del Settecento, che l'uomo fosse una macchina complessa e unitaria, soggetta alle leggi della natura. Anche l'anima, un termine vano, è un ingranaggio della macchina - il motore - dotato di muscoli per pensare come le gambe per camminare.
I nostri stati d'animo dipendono da come la macchina è montata: se ogni parte è al posto giusto e svolge correttamente la propria funzione, si è felici. Se, invece, ci si ritrova con il cuore in un piede, sangue e sentimenti non vengono messi in circolazione.
La felicità è un impulso: bisogna sentirla, col corpo. L'anima, accantonata ogni velleità intellettuale, deve essere corpo, vischioso e lascivo.


Bevi, mangia, dormi, russa, sogna; e se qualche volta pensi, fallo tra una bevuta e l'altra, e sia sempre un pensiero rivolto o al piacere del momento presente, o al desiderio riservato per l'ora seguente. [...] ti ci puoi voltolare dentro, come i porci, e sarai felice come loro.

Siamo partite per le vacanze, destinazione Sicilia. 
Ho iniziato a bere, mangiare, dormire, russare, sognare. Ho iniziato a sentire.

Con lo stomaco le cose che si mescolano, a ondate: la pasta con le sarde, tutte quelle pagine scritte e mai lette, la granita ai gelsi, le favole inventate alle tre del mattino, il pescestocco, i pianti con gli occhi secchi.

Con la spalla il respiro di babyP.




Con l'anima il mondo attorno a me, per staccarmi da quello che ho dentro. Mute di cani vagabondi, un pescatore che puliva il pesce schizzando per aria squame luccicanti, un sugo che per cuocerlo s'impiegano sei ore e bisogna stare lì, a curarlo. 

Con gli occhi i colori di un inverno che è giallo, blu e verde.



Con la lingua il ragù denso degli arancini.

Con il dito bagnato di saliva la direzione da seguire: lasciarsi portare dal vento e poi risalirlo; mollare e andare contro.




Questo è il ritratto che babyP mi ha fatto al ritorno dalle vacanze.