mercoledì 27 novembre 2013

La filosofia dei biscotti.

Mamme e bambini fanno i biscotti.

Si fa una cosa insieme, sospira la mamma.
È la copia del mondo, delle stelle e dei funghetti e dei fiori a sei petali, dolce e fasulla e imperfetta come ogni copia, direbbe Platone.
S'impara la manipolazione, suggerisce la maestra d'asilo.

Abbiamo fatto molti biscotti io e babyP negli ultimi tempi, le dosi a memoria - 200 grammi di farina, 100 di zucchero e 100 di burro a temperatura ambiente, un rosso d'uovo- e i gesti sempre uguali -impasta, forma una palla liscia, stendi e bucherella con le formine -.





Non ricordo se qualcuno abbia poi mangiato quei biscotti.
Sono stati un'abitudine tiepida come i termosifoni quando si accendono al mattino presto.
Un imbuto per far defluire tutto quel tempo immobile e dilatato.
Una sensazione di casa; di sicurezza e angoscia. 

Stamattina io e babyP eravamo in cucina, sedute sugli sgabelli alti.
C'era la solita massa dolce e morbida e collosa, e le nostre mani che facevano i soliti biscotti di stelle e burro e funghetti e farina e fiori a sei petali e zucchero.
C'era il sole che si schiacciava contro le piastrelle della cucina.
C'era la colonna sonora di Drive che mi ha ricordato una cosa buffa e leggera di me. 

C'eravamo io e lei, con la farina sul golf e le palline di pasta frolla nei capelli. Ci siamo messe a ridere, e mi è sembrata un cosa bellissima e preziosa che non tornerà più.







sabato 2 novembre 2013

Siamo due che camminano insieme.

Io e babyP camminiamo per le vie della città, con la sua mano piccola nella mia mano grande. 

Camminiamo senza meta e senza ritmo, strascicando i piedi. 
Siamo libere, in quella forma inconcludente che ci fa percorrere un isolato leggere e canterine e vanitose (ci specchiamo nelle vetrine) e un altro pesanti e uggiose e vergognose (ci fissiamo la punta delle scarpe).

Andiamo avanti, da una piazza a un vicolo, da un vicolo a un ponte, per poi tornare sui nostri passi.

Non cerchiamo niente, neanche la bellezza, ma quella ogni tanto arriva, camuffata da oggetti sospesi per aria o da una ragazzina che ha tagliato da scuola e non cerca niente, neppure lei, solo farsi ferire gli occhi dal sole.




Camminiamo come facevano Rousseau, Kierkegaard e Nietzsche, e tanti altri, per farci delle domande o per smettere di farcele. 
Ognuna cerca di tornare a se stessa, come può.

BabyP, un piede piccolo dietro l'altro, ha bisogno di sapere - perché quel signore ride, perché ora è buio, perché ci fermiamo - . Io, un piede grande dietro l'altro, ho bisogno di respirare e vivere - forse la felicità non esiste, tolgo il tappo della vasca da bagno e mi lascio risucchiare, insieme all'acqua sporca, non lo so, non m'interessa più dare un senso a tutti questi episodi che accumulo, butto le scarpe vecchie e non ci penso più -. 



Dopo un po' che camminiamo, inizio a sentire dolore al braccio, come se babyP mi ancorasse a questa strada, a questa città, a questa vita.
Allora le dico facciamo cambio, e la faccio volteggiare verso l'altra mano, ma poi il dolore si allunga sull'altro braccio, e babyP è costretta a danzare da una mano all'altra. 

Siamo due che camminano insieme, e ogni tanto fa un po' male.