lunedì 6 luglio 2015

Il senso dell'estate.

Il senso dell'estate è una cosa difficilissima da trovare in quanto ingannevole. Si crede, infatti, che abbia a che fare con l'essere divertiti, abbronzati, rilassati, come se l'estate fosse un'alternativa a una vita tendenzialmente monotona, pallida e isterica. Ma il senso dell'estate, lento e caldo, affonda nel senso della vita: la vita scotta d'estate, e non si lascia ingannare.

Ogni estate mi reco in un luogo ben preciso, situato sulla costa nord orientale della Sicilia; torno sempre qua infischiandomene del concetto di vacanze e del c'è un mondo da visitare e del ma non sai quanto è figo il Laos.
Non cerco diversivi, non voglio staccare da niente: desidero solo quell'immagine di me che è la mia parte migliore, la più fortunata forse, quella che mi sembra di essere e non interpretare. Quella che si succhia ancora le ciocche piene di sale e che nuota senza paura in mare aperto e che la notte, in barca, pesca totani e guarda le stelle dicendo Oooh, senza vergogna.




La ritrovo qua, in questo luogo situato sulla costa nord orientale della Sicilia, Tirreno meridionale settore est, di fronte le Eolie alle spalle i Nebrodi, specialità granita di gelsi con panna, tempo di attesa al reparto gastronomia del supermercato: 40 minuti, distanza col vicino di ombrellone: cinquecento metri, rumore del vicino di ombrellone con famiglia e borsa frigo contenente maccaruna al forno e vino di casa con gazzosa: 120 decibel, mare di brodo occhi di brodo scirocco di brodo, birra Messina che non è di Messina, processioni e calia e santi che ballano, signore sulla sediolina che parlano male delle signore con la sediolina dall'altro lato della strada, bambini che galleggiano con i braccioli il salvagente e il materassino di Spider Man, uomini che tengono la sigaretta tra il pollice e l'indice.
Luna che Ohhh, delfini che Ohhh, chiazze di bougainvillea che Ohhh.




Appena arrivo la signora che vende le melanzane sott'olio mi compatisce:
- Signora, lei come fa a Milano (ché Torino è Milano, indefinita città del nord) con la neve e la nebbia tutto l'anno: ha gli occhi senza mare.

E con gli occhi senza mare trascorro i primi giorni, stupita che si possa davvero vivere così, col mare dentro gli occhi.
Vado in spiaggia, mangio, faccio il sonnellino come i bambini, di tre ore senza sogni con una gran voglia di pane e marmellata al risveglio. Mi metto sul terrazzo e guardo gli ulivi e gli alberi di cedro e le viti, il mare un po' più in là, immobile. Sto così un'ora, due ore, come quando in città sto un'ora, due ore a fissare la home di Facebook o Twitter. Tra gli ulivi e gli alberi di cedro e le viti non accade nulla, nessun aggiornamento, solo il colore del sole che si schiaccia giallo violento arancione tenue viola ambiguo.
Mangio di nuovo, ho sempre fame; mi metto sul terrazzo, è tutta nera la campagna ma non dorme, c'è un concertino di grilli la notte. Vado a letto. Al mattino presto dormono tutti sotto le zanzariere bianche che si muovono leggere, sembrano ballerini spossati, poi guardo fuori, quella strana luce dell'alba (è l'inizio o la fine?).
Vado avanti così per un po' di giorni, anima e corpo ancora intimiditi da una vita così gialla di giorno e così nera di notte, poi quando sono pronte ci buttiamo di testa a bomba di piedi.




Torno dalla signora delle melanzane sott'olio, sembra sorridermi:
- Ora negli occhi ce l'ha un po' di mare: va meglio, eh?







mercoledì 3 giugno 2015

Eravamo così.

Lo si nota soprattutto nei luoghi di villeggiatura: non hai fatto in tempo a respirare l'aria buona per cui sei arrivata fino a là che tuo figlio sta già correndo con un altro bambino.
Non si sono mai visti, nemmeno una formalità - Giochiamo insieme? -, ma ora sono indistinguibili in un polverone di sabbia.






Eravamo al mare, un mare di famiglie e facce uggiose e previsioni meteo in costante aggiornamento dagli iPhone. Il bagnino mi ha aperto solerte l'ombrellone e sistemato il lettino in direzione del sole. Mi sono distesa e ho iniziato a tirar fuori dal borsone palette e creme e riviste vecchie di sei anni prima, e un Houellebecq vecchio pure lui. Come mai non l'avevo mai letto prima? E per quale motivo la Canalis non si è poi sposata con Clooney, mi stavo chiedendo, poi sono arrivate domande più urgenti: BabyP dove sei? Dove seeeei?
Lei era davanti al mare, insieme a un bambino biondo, a roteare, spalare sabbia e fare gli assalti alle onde. Il sole si è fatto alto nel cielo, e loro sempre a roteare e spalare e assaltare. Un occhio a loro e uno alla Canalis stretta a Clooney sulla Harley, un occhio a loro e uno a Houellebecq.
BabyP si è avvicinata al mio lettino:
- Posso fare il bagno con lui?
- Lui chi?
- Lui, lui!
Ma scusa non sai come si chiama? Non vi siete presentati?
- Eh?


Ecco, i bambini non si presentano. Non chiedono il nome né la stirpe né l'inquadramento aziendale. Non googlano, non danno una sbirciatina sul profilo Facebook né su quello Twitter, neppure un aggancio su Linkedln. Eppure scelgono qualcuno, uno su cento, per roteare e spalare e assaltare le onde.
Quel qualcuno è un centro che rotea come gli altri, ma luccica di più, come il mare a mezzogiorno. Il nome viene dopo, le affinità sono una stupidaggine: i bambini sono affini alle profondità del mare.

L'identità degli adulti, invece, è una costruzione artificiale contro gli altri: il mio cognome è più lungo del tuo, il mio lavoro è più prestigioso del tuo, io fingo meglio di te.
E le fondamenta? Nessuno ricorda più da dove si è partiti, solo una nostalgia liquida di come eravamo prima di tutta l'impresa edile-esistenziale.


Eravamo così, una bambina bruna e un bambino biondo, seduti vicini vicini e con lo sguardo rivolto al mare. Era sufficiente, anzi era necessario, stare così vicini, il sole dolce sulla pelle e il presente, quel mare pieno di puntini luccicanti, davanti.  




venerdì 22 maggio 2015

È tutta qua la vita?

Si crede che le madri abbiano smesso di farsi domande sul senso della vita: il loro compito è abitare una vita densa, e fornire risposte rassicuranti. E invece, quando nessuno può ascoltarle, si domandano: È tutta qua la vita?

Suona la sveglia, ma la madre è  già in piedi da un'ora, forse due. La chiama insonnia, Sai la primavera, tutta quella luce che entra, ma è qualcos'altro: un'insonnia dell'anima. Sono le sette e ha già svuotato la lavastoviglie, caricato la lavatrice, dato una passata al bagno ché poi arriva la colf e non vuole fare brutta figura. Vestita a metà, la camicia sopra e i pantaloni molli del pigiama sotto, si aggira per la casa come un fantasma. Trangugia un bicchiere d'acqua tiepida col limone e si pesa: due etti in più, non serve a niente l'acqua col limone, è una bufala come le bacche di goji e la meditazione trascendentale e i forum delle mamme.
È tutta qua la vita?
Arrivano i piedini di corsa, tum tum tum, e una voce, anche quella correndo: Voglio il latte e il sole e i biscotti e la treccia di Elsa e la nonna.
- Vuoi anche me?, e la bambina continua la sua corsa verso la madre, le salta sopra, la stringe con le mani a tenaglia.



Sì, è tutta qua.

In ufficio la madre lavora, diligente. Conserva quell'illusione di essere utile al progresso: duecento fotocopie, un excel di indici di bilancio e delle slide per una presentazione efficace (il capo ha sottolineato: efficace). La mattina scivola via veloce, neanche una sbirciatina a Facebook. A pranzo i colleghi maschi invitano la madre a una cotoletta di pollo impanata con insalata: la cotoletta scivola via veloce, l'insalata rimane ammonticchiata nel piatto. I colleghi parlano delle loro mogli e dei loro figli, lei finge di non ascoltare le cose sulle mogli: quelle donne scialbe sono lei.
È tutta qua la vita?
Riceve una telefonata dall'asilo: Signora, la bambina ha la febbre. Mi spiace, un'urgenza, i colleghi maschi scuotono la testa. Guida veloce verso l'asilo, con una sirena nella testa, Oddio ha la febbre, la febbre, oddio. Trova la bambina su una brandina, avvolta in una coperta di pile, le guance rosse e gli occhi bagnati. Finalmente a casa, la madre prende su di sé la bambina. Mette il dvd di Cenerentola e sente i loro corpi caldi che respirano insieme, bidibi bodibi bu. 
- Mamma, mi sento già meglio, sai.



Sì, è tutta qua. 

Si fa sera, il cielo si macchia di colori e la madre ha pensieri violetti e blu e rossi.
- Ti ho comprato gli gnocchi!
- Ma a me non piacciono più gli gnocchi.
Il marito è steso sul divano, la bambina accanto a lui.
Gli gnocchi sono a tavola, simili a lumaconi molli:
- Tesoro, gli gnocchi non mi vanno, dice lui.
- Neanche a me, neanche a me! Bleah!, dice lei.
- Ma sei arrabbiata, tesoro? Dai, che sei anche uscita prima dal lavoro!, dice lui.
Gli gnocchi li mangia lei, due etti in più sulla bilancia, due chili in più sull'anima. La madre sparecchia, infila i piatti nella lavastoviglie e gratta con la paglietta i fornelli: i pensieri sono diventati grigi. Si distende anche lei sul divano, apre Facebook, scorre i profili, posta un cuore di qua e uno di là. 
È tutta qua la vita?
La bambina è in pigiama, sotto le coperte. 
- Ti racconto io la storia stasera. Allora c'era una volta una principessa che si chiamava come te e aveva i capelli marroni come te e lo smalto rosso come te: era bellissima.
- Più bella di Elsa?
- Sì, mamma.



Sì, è tutta qua la vita.




venerdì 17 aprile 2015

Ai baci si dice sempre: Sì!

Alle medie sapevano di aranciata coca cola e sprite. Erano baci appiccicosi che volevi e non volevi. Le feste pomeridiane trascorrevano scialbe, aranciata coca cola e sprite, fino al gioco della bottiglia. Era il momento in cui volevi e non volevi, caldo nella pancia e brividi di terrore. La bottiglia puntava proprio lui, le sue labbra: lui voleva, si avvicinava, ma tu tentennavi, la bocca pudica. Così arrivava una tua compagna più sveglia, col body aderente e il gloss sulle labbra, e lo baciava lei.

Hai iniziato a svegliarti: baciavi tutti ai tempi del liceo, il ragazzino che ti aspettava all'uscita sullo scooter e quello a cui ti avvinghiavi sui divanetti della discoteca. Davi baci appassionati e baci molli, alcoolici. Sapevano di Brooklyn, sigarette e vodka alla pesca: indigesti, ma necessari per sentirti la più bella. Non ti hanno mai eletta miss liceo, neanche un terzo posto, ma avevi una lista lunghissima di baci che faceva schiattare d'invidia anche la biondina con la corona e la fascia.




Alla fine del liceo hai dovuto scegliere, facoltà e uomini: sei diventata più selettiva. Ordinata: da una parte le cose giuste al sapore del nulla (un fidanzato che piaceva ai tuoi, gli esami con la lode, il corso di mandarino e l'ECDL e le lezioni di GAG) e dall'altra quelle sbagliate, sapide (quelli che piacevano a te, i soliti dannati, l'Erasmus, i corsi a cui non sei mai andata: pagavano i tuoi gli aperitivi che ti bevevi insieme ai corsi).

Un giorno hai iniziato a baciare sempre lo stesso, e i baci hanno iniziato ad avere il gusto di lui. Bevevate, fumavate, mangiavate sushi indiano panini con salsiccia alle quattro del mattino, eppure i baci sapevano solo di lui, essenza umana. Ti sei decisa a sposarlo, un gusto sempre più umano, familiare, di mobili Ikea ed erbe aromatiche sul balcone; non ti lavavi neanche più i denti il mattino prima di baciarlo. Baciavi lui e sapevi chi era, e chi eri tu: cosa avevate deciso di essere.

Una mattina di sole è nata una bambina, l'hai baciata tra le lacrime, e sapeva di margherite e sangue e latte di mandorle. E così sono tornati i baci di tutti i tempi, dalla preistoria al postmoderno, i baci dati e quelli negati:

-Mi dai un bacio?
- No!

[ Dopo quattro giorni.]

Ti do un bacio perché mi è venuta voglia.
- Sì!

[La bottiglia gira quando vuole lei.]



giovedì 26 febbraio 2015

Il desiderio di essere piccoli e grandi.

Siamo sedute in una gelateria piena di sole. BabyP mi chiede se può ordinare un cono:
- Sono grande. Solo i bambini piccoli prendono la coppetta.
- Tu sei grande e sei piccola quando ti gira, - le rispondo.

Mentre lecca il suo cono, inizia a raccontarmi che la vita va così: si è piccoli o grandi quando si sceglie di essere tali. 
La scelta - sosteneva Hobbes - è "l'intera somma dei desideri, delle avversioni, delle speranze e dei timori" che sconquassano l'essere umano. Neppure l'atto della volontà mette fine alle incertezze umane: la vita è un movimento circolare tra i desideri, tra  il desiderio di essere piccoli e il desiderio di essere grandi.

Lei è grande perché sa tutto delle lettere maiuscole e delle sorellastre di Cenerentola e della Quaresima che dopo quattro giorni senza dolci arriva Pasqua e si mangiano uova giganti di cioccolato.
Ed è grande per dormire senza ciuccio, ma con Titti e la lucina e la mamma che accorre quando la nostalgia del ciuccio si fa forte.

- E sei piccola, quando?
- Quando voglio tornare nella tua pancia. Quando andiamo alle feste e mangio le pizzette e le patatine e pure i pop corn e poi ho la pancia che scoppietta di pop corn, e tu ti metti vicino a me sul divano e mi dici: Vuoi il latte caldo?, e me lo dai come ai bambini piccoli, col biberon. 





Il gelato si sta sciogliendo, io sto sul chi va là, armata di tovagliolini e desiderio per quelle gocce marroni e rosa.
- E tu, mamma, quando sei piccola e quando sei grande?
- Sono piccola quando non prendo il gelato - come adesso - e rimango a fissarti mentre mangi il tuo cono gianduja e fragola. Gioco con la tua lentezza, so che colerà prima o poi, e io te lo chiederò per aiutarti un po'. 
quando papà non c'è, e ti dico con noncuranza: Se vuoi puoi dormire con me, ma solo questa notte, eh. Poi nel letto mi acciambello su di te, ti avvolgo, ti pizzico i piedi e tu mi dici: Ora dormiamo, eh.

- Ma mamma tu sei grande. 
- Sono grande quando mi metto i tacchi e il rossetto - un esercizio da signora - e arrivo a prenderti all'asilo. Come sei bella - dici - con i tacchi e il rossetto, nessun uomo li noterebbe come fai tu. 
Sono grande perché quando mi chiedo chi sia la mamma di questa bambina che ha capito il trucco del cono che cola ho la risposta: sono io.





  

sabato 13 dicembre 2014

Le madri del mese di dicembre.

Giorgio Manganelli, "Il presepio"



Le madri del mese di dicembre sono le più infelici dell'anno. Contano i giorni e le ore, poi moltiplicano: venticinque giorni per ventiquattro ore. Il mese di dicembre è una lunga domenica di seicento ore.
Allora dici: gli interstizi d'infelicità vanno riempiti, il cuore deve pompare pace e amore e serenità, fino alle estreme periferie delle dita dei piedi.

Le madri del mese di dicembre partono in anticipo: sono donne organizzate, conciliano famiglia, lavoro, meches balayage shatush dal parrucchiere, e sul promemoria dell'iPhone scrivono per benino tutti i nomi e i rispettivi regali. È semplice come unire i puntini sulla Settimana Enigmistica: i regali sono lì, dall'anno precedente, da mescolare in maniera sapiente (la crema per le mani che ti aveva regalato la zia all'amica, "Il cardellino" di Donna Tartt solo sfogliato all'altra amica, la tazza kitsch con le corna della renna in porcellana chi te l'aveva regalata?).

Le madri del mese di dicembre smettono di correre, di nuotare, di spalmarsi la crema anticellulite; ogni sforzo sarebbe vano in questo mese di aperiauguri e cesti di Natale coi funghetti sott'olio e il cotechino precotto. Prendi la bottiglia dal cesto, un moscato dolce, e ne assapori il perlage: in bocca un pugno di puntine da disegno. Te ne versi un altro bicchiere, colmo, e sbocconcelli del panettone, privato delle uvette e dei canditi.




Le madri del mese di dicembre sono piene di aspettative, tutte deluse, frantumate. Ogni mattina rivolgono occhi di speranza al cielo di latta: il sole le rende irritabili. Attendono un fiocco di neve, che danza ramingo nell'aria, un solo fiocco a purificare il Natale: il Natale è bianco. Hai pagato lo stagionale, lezioni su lezioni individuali, sci e scarponi nuovi per i tuoi figli; guardi il cielo, un raggio di sole danza ramingo nell'aria, e ti viene da piangere: il tuo Natale è giallo.

Le madri del mese di dicembre spalancano la bocca e fanno: Oooh. Il Natale è ridondante, i bambini tendono al barocchismo. Le madri spalancano la bocca e fanno: Ooooh davanti a quei ceffi travestiti da Babbo Natale col vestito acrilico, Oooh davanti alle luci lisergiche della vetrina del macellaio, e ancora Ooooh, Che bella tazza con le corna di renna in porcellana. Oooh.
Le loro case diventano più Tiger che Ikea, la Danimarca invade la Svezia, lucine lisergiche anche dentro i salotti i bagni le cabine armadio, e poi renne ed elfi e cuori, cuori che pompano l'amore cosmico.




Le altre madri del mese di dicembre, sempre in competizione - a giugno era l'abbronzatura, a settembre l'inserimento più strepitoso, ora è il Natale, l'agone più duro -, allestiscono il presepio fatto come una volta col tappeto di muschio e il cielo di cotone; qualcuna ha consegnato la letterina brevi manu a Babbo Natale a Rovaniemi; sembrano pure dimagrite, sarà stata la raccolta del muschio o il Circolo Polare Artico o la rappresentazione della felicità.
Sono un po' nervose il giorno della recita di Natale, il figlio non è stato scelto per fare il protagonista, ma è Natale, bisogna amare il prossimo, anche quella bambina bionda al centro del palco. 

Entri, occupi la seconda fila con maglie giacconi capellini, la maestra è agitata le madri sono agitate; tu calma, interstizi vuoti o troppi pieni di chissà cos'altro. Buio, luce, bambini che recitano e cantano, uno imbalsamato, ma lei dov'è? Hai lo stomaco che si accartoccia: l'hanno dimenticata, forse esclusa. Buio, luce, arriva lei, stelline dorate nei capelli e occhi che cercano i tuoi. Sono qua!, vorresti alzarti e urlare, e invece i sui occhi continuano a vagare per la platea di nonne mamme e fratelli. Sono qua!, ti vede, le  sue stelline sorridono, le dita dei tuoi piedi - gli interstizi? - formicolano. 




venerdì 28 novembre 2014

Saper essere piccoli.

"Saper essere piccoli. Si deve essere ancora vicini ai fiori, all'erba, alle farfalle, come il bambino, che non li sovrasta di molto. Noi adulti siamo invece più alti e dobbiamo chinarci fino a loro; [...] Chi vuole aver parte ad ogni cosa buona, talvolta deve saper anche essere piccolo." (F. Nietzsche)

Saper essere piccoli: saper rannicchiare il corpo e stendere l'anima. L'anima, libera e distesa, si avvicina così a quel mondo dimenticato dove anche la felicità, seppur piccola, esisteva.
Un fiore, un cucciolo, una torta appena sfornata: l'anima dà uno sguardo distratto a queste cose piccole e graziose, s'impiastriccia con tutto quel miele, e ne conviene: il fiore è bellissimo - i petali fragilissimi -, il cucciolo tenerissimo e la torta squisitissima. 

I bambini, però, poco inclini alla contemplazione fine a se stessa, acciuffano quelle cose piccole e graziose e ne fanno qualcosa: fiori dipinti sulla parete della cucina, bellissimi come quelli veri, un cucciolo di scarafaggio adagiato sulla tavola imbandita (Mamma, dobbiamo salvarlo!), una torta di pasta di rossetto Chanel n. 102 "Palpitante" e dentifricio Colgate.
Qualunque tentativo di chinarsi vicino alle loro azioni - a come la loro anima mescola le cose trasformandole in vita - è inutile. 
Sono ridicola e malinconica quando mi faccio piccola. A volte, mi irrito anche.

Stamattina camminavamo verso l'asilo, babyP con un ombrello di stelline io con un cappello da parigina, e ancora sopra un cielo di latta. 
Ha cominciato lei: 
- Partirà la nave partirà.
- Dove arriverà, questo non si sa, - ho farfugliato piano piano.
- Sarà come l'arca di Noè, il cane, il gatto, io e te, - un cappello e un ombrello che cantavano insieme.






Il cielo di latta ha ripreso a tamburellare. Il mio corpo si è rannicchiato sotto il suo ombrello, l'anima distesa, quasi felice.