Da
quando una donna indossa il pancione gode di un certo riconoscimento -
estetico, sociale, escatologico - per il solo fatto di occupare una
porzione maggiore di spazio.
Ne
va fiera: lo esibisce in pubblico, rimane interdetta se qualcuno
non si accorge di esso.
Lo dice a tutti che ha - finalmente - una pancia, persino alle compagne delle elementari ritrovate su Facebook. Le compagne rispondono: Che bello, che felicità.
La pancia genera indulgenza.
Le
amiche le scattano foto al pancione – di fronte, di tre quarti e di
profilo -, il marito ci appoggia l'orecchio o la mano o
la bocca con un certo misticismo, i medici lo schiacciano con le due
mani insieme e annuiscono,
donne sconosciute con le unghie dipinte lo intercettano come fosse un
pallone quasi in rete e predicono il suo futuro (è un maschio/è
turbolento, è una femmina/è complicata). Le hanno anche insegnato a respirare, e sbuffa insieme ad altre donne: ansima, non ha il ritmo giusto, e la rimproverano.
Lei si gratta il pancione, e la notte lo appoggia di
traverso come una sacca gettata in un bagagliaio colmo.
Una donna incinta è la sua pancia, pura
materia che occupa una superficie notevole. Lei si sente così, gli altri la trattano così, una res
extensa, incapace di pensare e determinata da leggi fisiche, come
un orologio o un frullatore. E la res cogitans, dov'è finita?
Secondo
Cartesio, il corpo può essere percepito solo dalla mente. Invece, quella donna sente il corpo con il
corpo: attraverso gli attacchi di nausea o i primi movimenti di suo figlio, una falena intrappolata in una lampada. Quando si spoglia vede una riga, che sembra tracciata col carbone, dall'ombelico in
giù.
Qualcosa
di grandioso sta per accadere, e lei si sente esclusa. La sua mente è come quella falena: sbatte i pensieri e si brucia le
ali.
Eppure
Cartesio avvertiva: l'evidenza non viene dai sensi; quelli ingannano,
e scambiano il riflesso di un remo immerso nel mare per un remo
spezzato in due. Scambiano una pancia per un bambino. Scambiano una
donna con la pancia per una madre.
Senza
il pensiero non si riescono a mettere insieme i frammenti casuali
della realtà: chiazze sulla pelle come quelle di una banana
marcescente, bozzi che sembrano mani o minuteria del ferramenta o
piedi che premono sulla pancia come per squarciarla, sogni di pelli
sudate e guance arrossite.
È incinta, e si è dimenticata perché.
Perché
ha paura, perché le viene da piangere e da ridere nello stesso
momento, perché prova un tale struggimento per qualcuno che non c'è
ancora, o che ha perduto.
Tra uno sbuffo e uno sbattere di ali, cerca quel punto di congiunzione tra mente e corpo, laggiù, in quel corpo dentro il suo corpo.
E quell'atto di grazia che è uno stato transitorio, pausa ed intervallo tra due vite, perchè dopo, sarà inevitabilmente, diverso, è qualcosa che non torna, linea di demarcazione, rinascita. Qualla pancia che si ostenta come la vittoria su sè stesse, è qualcosa di grandioso. Indelebile nella mente. A volte, la tocco e cerco di sentire l'odore del ricordo. Bellissimo questo post. de resto, come molti tuoi altri.
RispondiEliminaRaffaella
Grazie, Raffaella, per quello che scrivi.
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